INTRODUZIONE/DEFINIZIONE

La migliore definizione della malattia algodistrofica (Complex Regional Pain Syndrome, secondo la nosografia più recente) ricalca da vicino quella ufficialmente riconosciuta dalla Letteratura medica, ovvero quella di una malattia caratterizzata da una sintomatologia dolorosa (spontanea e/o provocata) sproporzionata per gravità e durata rispetto all’evento scatenante, nella più parte dei casi un trauma, fratturativo o meno, o secondaria a chirurgia d’elezione. L’Algodistrofia che nella quasi totalità dei casi interessa la mano o il piede/caviglia si caratterizza inoltre per la presenza di alcune peculiari manifestazioni cliniche. E’ proprio la rilevazione di tali manifestazioni ad indirizzare la diagnosi in assenza di riscontri di laboratorio evocativi e a fronte di indagini strumentali radiologiche nessuna di esse con caratteristiche di sensibilità e specificità tali da poter essere adottata come discriminante diagnostica.

Lo stesso dolore, oltre all’intensità, presenta caratteristiche evocative di un’Algodistrofia. A tal proposito, il dolore spontaneo notturno comporta un elevato indice di sospetto. Un segno tipico è rappresentato da un’allodinia, ovvero la percezione dolorosa per uno stimolo normalmente non doloroso (utile a tal riguardo il confronto diretto con l’arto controlaterale); spesso è presente un’iperalgesia, ovvero una risposta dolorosa più intensa di quella provocabile con il medesimo stimolo controlateralmente. Nella manifestazione più tipica della malattia, il dolore si accompagna ad edema ed a un aumento del termotatto, più raramente una riduzione (forma “fredda”) che solitamente compare negli stadi più avanzati di malattia, mentre è rara all’esordio (più frequente nelle forme pediatriche ed adolescenziali). Altro segno evocativo è l’eritrosi, omogenea o marezzata, più rara una subcianosi osservabile di solito negli stadi più avanzati di malattia. Può essere presente un’iperidrosi, più frequente a livello della mano più rara a livello del piede. Un’ipertricosi e alterazioni distrofiche ungueali sono altre possibili manifestazioni cliniche più raramente osservabili. Il deficit motorio, a volte accompagnato da tremore, è prevalentemente antalgico nelle fasi iniziali di malattia. Diventa secondario a contrattura tendinea, muscolare e capsulare nelle fasi più evolute.

Non va mai dimenticato che tutte le possibili manifestazioni cliniche sono presenti con un’intensità variabile nei diversi pazienti e, nello stesso paziente mutano con il trascorrere del tempo. Un frequente errore del medico è rappresentato da un’errata percezione di remissione di malattia con il ridursi spontaneo dei segni di flogosi: l’apparente miglioramento, purtroppo non esclude la cronicizzazione del dolore e il verificarsi di un danno funzionale permanente.

LA DIAGNOSI

La tempestività con la quale si pone diagnosi di Algodistrofia riveste un’importanza fondamentale nella corretta gestione della malattia. Esistono dati di letteratura a supporto di una ridotta risposta terapeutica quando il trattamento è tardivo che viceversa è tanto più efficace quando più precocemente iniziato. In mancanza di strumenti di laboratorio o radiologici in grado di dirimere con accuratezza un eventuale sospetto, non può essere che la clinica a guidare il medico in tale percorso. Poiché nella più parte dei casi l’Algodistrofia fa seguito ad un evento traumatico, sia esso una frattura, una distorsione o un semplice trauma, non raramente il clinico riferisce la sintomatologia dolorosa all’evento causale stesso. E’ proprio l’intensità del dolore lamentato dal paziente, insolito rispetto a quanto osservabile comunemente nella pratica clinica, a dover destare il primo sospetto. L’aspetto delle dita che fuoriescono dallo strumento di immobilizzazione deve essere valutato con attenzione alla ricerca di un edema, di una discolorazione e di un’alterata sensibilità.

A volte la diagnosi viene esclusa (e forse peggio, inappropriatamente posta) sulla base dell’esito di indagini radiologiche. La radiologia convenzionale, cosi come la TC richiede una latenza di parecchie settimane dall’esordio per mostrare i tipici riscontri di “osteoporosi maculata” la prima e di aree lacunari di perdita di tessuto osseo la seconda, non trascurando che tali riscontri possono non essere presenti o più raramente essere osservabili in altre situazioni al di fuori dell’Algodistrofia (osteoporosi da disuso). La scintigrafia ossea è la metodica che mostra le migliori performances in termini di sensibilità e specificità. Malauguratamente, la scarsa diffusione delle apparecchiature e le conseguenti liste d’attesa, così come l’impossibilità di utilizzarla nel follow up del paziente per motivi radioprotezionistici, rendono tale metodica scarsamente utilizzata come esame di routine.

Discorso a parte merita la RMN. Come precedentemente riportato, la diagnosi di Algodistrofia può e deve essere esclusivamente clinica, basata cioè sull’anamnesi e sui segni e sintomi della malattia stessa. Poiché questi dati non sono solitamente a disposizione del radiologo, ciò dovrebbe imporre una grande prudenza nel porre diagnosi di Algodistrofia. Malauguratamente, non è infrequente imbattersi in tale diagnosi posta esclusivamente sulla base dell’osservazione di un alterato segnale definito “edema osseo”. Al di là del fatto che tale riscontro in corso di Algodistrofia è fenomeno di sortita e tende solitamente ad attenuarsi e scomparire nell’arco di alcune settimane dall’esordio, il pericolo maggiore è legato al fatto che tale riscontro è condiviso da oltre una ventina di patologie diverse, molte delle quali totalmente differenti dall’Algodistrofia, rendendo quindi l’imaging acquisito con tale metodica e descritto come “edema osseo” tutt’altro che patognomonico di sindrome algodistrofica.

LA TERAPIA

La terapia dell’Algodistrofia ha conosciuto negli ultimi anni progressi mai visti in precedenza. Il trattamento esclusivamente sintomatico, volto a contrastare la sintomatologia dolorosa, e riabilitativo, spesso non in grado da solo ad ottenere un significativo recupero funzionale, è stato soppiantato da terapia non solo estremamente efficace nel controllare il dolore e le manifestazioni flogistiche locali, ma in grado di raggiungere la remissione definitiva di tutte le manifestazioni cliniche, ottenendo quindi la guarigione completa. La classe farmacologica che ha consentito di raggiugere questo traguardo è rappresentata dai Bisfosfonati. Il percorso seguito per definire il farmaco e lo schema terapeutico più efficace non è stato tuttavia agevole. Ci sono voluti più di una decina d’anni per ottenere tale risultato sino al 2014 quando l’ente regolatorio governativo ha ufficialmente riconosciuto il Neridronato quale farmaco con la specifica indicazione per il trattamento dell’Algodistrofia. Tale riconoscimento era relativo allo schema terapeutico che prevedeva la somministrazione del farmaco per via endovenosa, al dosaggio di 100 mg somministrati quattro volte ogni 3° giorno. Lo sviluppo successivo si è rivolto ad individuare uno schema terapeutico altrettanto efficace, ma utilizzando la somministrazione intramuscolare, con l’obiettivo di individuare un trattamento più confortevole per il paziente, domiciliare anziché ospedaliero, e per contenere i costi e i tempi d’attesa. La somministrazione del medesimo dosaggio totale (400 mg) somministrato per il tramite di 16 iniezioni intramuscolari ha mostrato un profilo di efficacia sovrapponibile al trattamento endovenoso. In ragione di ciò, da oltre un anno il Servizio Sanitario Nazionale eroga in regime di totale rimborsabilità il trattamento ai pazienti affetti da Algodistrofia. Gli studi successivi hanno evidenziato come la remissione di malattia si mantenga invariata fino ad un anno dopo il trattamento e che circa l’80% dei pazienti presenti quattro anni dopo la cura un recupero funzionale totale. L’utilizzo ottimale di tale cura deve considerare la corretta gestione dell’unico effetto collaterale, ovvero la cosiddetta “reazione di fase acuta”. Si tratta di una sindrome artromialgica, raramente accompagnata da febbricola, che si manifesta a seguito della prima/e somministrazione di un aminobisfosfonato parenterale qual è il Neridronato. Tale evento che si verifica in circa il 30% dei pazienti è facilmente governabile con l’uso del paracetamolo al dosaggio di 1-2 grammi al dì e si esaurisce nell’arco di 36-48 ore.

L’ultima considerazione va fatta circa l’utilizzo di altri bisfosfonati in alternativa al Neridronato. L’impiego di molecole più antiche per schemi terapeutici e vie di somministrazione che non hanno mai avuto riscontri di efficacia rappresenta oggi un azzardo sia per il paziente che per il prescrittore. Il paziente sperimenta a volte un lieve miglioramento della sintomatologia dolorosa e tale riscontro non può fare altro che ritardare pericolosamente l’impiego dell’unico trattamento riconosciuto efficace, ovvero il Neridronato. Il prescrittore infine, impiegando un farmaco fuori indicazione, si trova nella condizione di dover affrontare conseguenze non solo etiche, ma anche legali. Sentenze passate in giudicato hanno definito tale comportamento come imperito, imprudente e negligente configurando le conseguenti sanzioni, evento che spesso si verifica quando la controparte, ovvero il paziente, si trova a dover convivere in modo permanente con la disabilità derivante dalla malattia.